MUSEO CIVICO ANTONIO ADRIANO
ARTI E TRADIZIONI POPOLARI
LA CULTURA DEL GESSO

La sezione dedicata ai solai di gesso del Museo di Arti e Tradizioni popolari di Magliano Alfieri, intende documentare una particolarissima tecnica costruttiva assai diffusa nelle case contadine di alcuni paesi del Roero, dell’Astigiano e dell’Ovadese. Si tratta di collegamenti orizzontali formati da pannelli di gesso portanti, gettati in opera tra un’intelaiatura di travi e travetti di legno, su matrici lignee che recano inciso in negativo un motivo decorativo, che resta in positivo sul pannello.
Il più antico solaio datato, trovato in opera in una cascina di Vezza d’Alba, porta la data 1580. Gli esemplari più recenti risalgono alla metà del XIX secolo, quando la diffusione degli opifici per la produzione su larga scala di mattoni, profilati di ferro, calci e cementi, favorisce processi di standardizzazione e l’abbandono delle tecniche, come quella dei solai, legate alla logica del singolo cantiere e ad ambiti territoriali relativamente ristretti.
I solai di pannelli decorati, di luce fino a 50 cm, sono, allo stato attuale delle ricerche, una caratteristica peculiare delle aree piemontesi che abbiamo ricordato. I trattati di architettura, infatti, danno scarso valore al gesso come materiale da costruzione: solo alcuni testi ottocenteschi segnalano tecniche (che definiscono “alla francese”, “all’italiana”) per costruire plafoni portanti fra travetti di legno, ma si tratta di pannelli molto stretti e non decorati.
L’origine prima del fenomeno piemontese è stata individuata nell’esistenza, nelle aree in cui i solai sono presenti, di numerose cave di gesso, la cui attività è documentata già nel XVII secolo, legate alla natura geologica del territorio, formatosi nel periodo detto Messiniano, quando il Mediterraneo si ritirò dall’attuale Pianura Padana.


Gli ambiti di diffusione dei solai sono tuttavia relativamente ristretti. Ad una certa distanza dalle cave il fenomeno s’interrompe, per riprendere non appena ci si trova nuovamente in una zona di affioramenti di roccia gessosa. Le linee di confine sono determinate da motivi d’ordine tecnico ed economico: lontano dalle cave non era più conveniente, a causa del pessimo stato delle vie di comunicazione, trasportare grandi quantità di un materiale voluminoso come il gesso, che perdeva progressivamente le sue qualità con l’esposizione all’aria, diventando quell’ingrediente poco affidabile di cui parlano i trattatisti.

 

All’interno delle aree di diffusione, invece, con il gesso si faceva di tutto: crudo e tagliato in blocchi squadrati era usato per la costruzione delle murature di elevazione; cotto e macinato era componente principale della malta necessaria per legare i mattoni delle volte e dei muri, per formare i pavimenti, gli spigoli conduttori e gli intonaci, per riquadrare e fissare i cardini delle porte e delle finestre, per coprire i cannicci dei soffitti, oltre che per fare i solai. Il gesso era pure la materia prima degli stucchi che decoravano le chiese e le case signorili, dell’intonachino dipinto con cui si coprivano gli altari per fingere rivestimenti di materiali preziosi.

Nella casa contadina sono dello stesso materiale gli elementi decorativi che spesso sono sui portali e le cornici che segnano le imposte delle volte o disegnano i camini e i vani delle porte e delle finestre. Con il gesso infine si fertilizzavano i terreni.
Questo largo uso del materiale è evidentemente legato alla grande disponibilità: la scarsa profondità dei giacimenti di roccia gessosa, la loro estensione, la permissiva legislazione che regolava la coltivazione delle cave, le semplici tecniche di estrazione e il materiale utilizzato, facevano sì che esistessero una miriade di piccole attività, condotte dalle famiglie contadine che integravano così i magri redditi provenienti dal lavoro della terra. Le condizioni sovraesposte tenevano basso il prezzo del gesso acquistabile, nelle particolari condizioni di mercato che caratterizzavano la vita economica delle campagne, anche con lo scambio di prodotti della terra o con il lavoro della cava.
Le motivazioni del fenomeno non sono però solo economiche, ma anche tecniche e culturali.
Se la produzione del gesso è nettamente superiore a quella della calce e del legno, tanto da giustificare l’uso prevalente del primo, buona argilla per fare mattoni si poteva trovare un po’ dovunque, tanto che i cotti erano utilizzati per le murature, i pavimenti, le coperture e le volte. Ma la costruzione di queste ultime richiedeva un grande impegno tecnico e legname per le centine, mentre i solai di gesso si realizzavano facilmente e pure mantenevano il calore nelle stanze e difendevano il tetto dal fuoco.
Non solo. Grazie ai motivi decorativi essi portavano nella casa contadina una nota di preziosità e di decoro, richiamando i solai lignei delle case dei ricchi e altri temi dell’arte colta, ma anche modi di sentire e di pensare della cultura contadina. I 109 motivi decorativi documentati nel corso della ricerca testimoniano l’importanza che  l’aspetto culturale e decorativo ha avuto per determinare la fortuna di questa particolarissima tecnica costruttiva.

La scoperta dei solai e la spiegazione del procedimento seguito per la loro costruzione si deve a Enrica Fiandra, ispettore centrale del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, che, conoscendoli per averli sempre visti nelle case di Bagnasco d’Asti, decise di presentarli, per illustrarne le caratteristiche e la peculiarità, in una serie di studi e mostre che si tennero a Bagnasco, ad Asti e a  Torino tra il settembre e il novembre del 1972.
Diffusi per lo più nelle case contadine, i solai di gesso erano diventati nel dopoguerra, per molti proprietari, simbolo di un passato di povertà, da eliminare non appena se ne avesse la possibilità economica. Già in quegli anni erano numerosissimi i solai che venivano demoliti per essere sostituiti da strutture moderne in cemento armato. L’iniziativa della Fiandra aveva quindi lo scopo di suscitare intorno a questa peculiare testimonianza della cultura contadina l’interesse dei proprietari e degli organismi regionali preposti alla tutela del nostro patrimonio culturale.
In quegli stessi anni nella zona di Magliano Alfieri un gruppo di giovani, guidati da Antonio Adriano, vivendo ancora la vita delle campagne e vedendo scomparire intorno a sé velocemente le usanze e le testimonianze della vita e della cultura contadina, cominciarono a lavorare per la costruzione di un Museo d’ Arti e Tradizioni popolari.
Tra gli oggetti che per questo raccoglievano vi erano pure pannelli di gesso provenienti da solai demoliti e gettati nelle pubbliche discariche. Scrissero allora a  La Stampa  per comunicare la loro iniziativa e chiedere indicazioni su come restaurare i pannelli. La Stampa fece conoscere ai giovani di Magliano gli studi della Fiandra: dall’incontro tra le due ricerche trasse nuovo impulso l’idea di realizzare a Magliano Alfieri un museo in cui raccogliere, in particolare, la documentazione concernente i solai di gesso del Roero e dell’Astigiano.
Un intervento di tutela della Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici sul castello di Magliano evidenziò, nel 1976, l’esigenza di un impegno diretto dello Stato per la salvaguardia dell’imponente edificio che rischiava di subire pesanti manomissioni: localizzare al suo interno il museo che s’intendeva istituire sembrò la soluzione più opportuna per dare un uso pubblico ad una parte della costruzione, che sarebbe in tal modo potuta divenire il centro delle iniziative culturali che stavano nascendo nella zona. Negli anni successivi il Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, attraverso la Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici del Piemonte e il Museo Nazionale d’Arti e Tradizioni popolari di Roma, finanziò il restauro delle coperture e delle sale dell’ala est del castello destinate al museo, nonché la schedatura dei pannelli di gesso e di altri oggetti destinati all’esposizione. L’Assessorato alla Cultura della Regione Piemonte, dal canto suo, concesse i fondi per le attrezzature e per una ricerca volta a raccogliere dati e materiale documentario sulle caratteristiche e sull’area di diffusione dei solai, da utilizzare come supporto dell’esposizione museale.
Il lavoro di ricerca prese le mosse da quanto la Fiandra aveva elaborato nei due scritti pubblicati sull’argomento e ulteriormente maturato negli anni successivi. Ci si pose come obiettivo principale quello di approfondire i dati raccolti sul piano quantitativo (con l’esatta definizione dell’ambito di diffusione dei solai di gesso e la schedatura di tutti i motivi decorativi) e qualitativo, con il tentativo d’investigare esaurientemente i rapporti tra la particolare pratica costruttiva e il suo ambiente, così da comprendere compiutamente le ragioni economiche, tecniche e culturali che ne costituirono la radice e notare nel contempo quali caratteri essa ha introdotto nel quadro delle tradizioni culturali, abitative, tecniche ed economiche delle campagne astigiane e del Roero.

Nel Museo s’intende presentare il fenomeno sotto tutti i suoi aspetti: spiegare la tecnica costruttiva, le caratteristiche fisiche e chimiche del gesso che ne consentono tante utilizzazioni, la formazione geologica del territorio, le modalità d’estrazione e cottura, le vie della commercializzazione, le tipologie edilizie ed urbane in cui i solai si collocano, i motivi decorativi e gli oggetti che li hanno ispirati. Nel complesso si evidenzia un ruolo così importante del gesso nella vita di queste campagne da giustificare la funzione  di Centro di documentazione dellacultura del gesso nel Roero, nell’Astigiano, nell’Ovadese assegnata alla sezione del museo che il 27 settembre 2002 è stato inaugurato nel suo allestimento definitivo (progettato dagli arch. Delmastro e Vacchero) grazie ai finanziamenti della Regione Piemonte, prevalentemente, e del Comune di Magliano Alfieri.


                                                                                                                      Marzo 2003 – Antonio Adriano, Mirella Macera.

Sopra: cava di gesso abbandonata a Piobesi d'Alba
A lato: la sala del museo dedicata ai "gisatè" e alla lavorazione del gesso
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